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Quanti problemi risolvi ogni giorno nel tuo lavoro? E quanti di questi vengono causati dalla scarsa o errata comunicazione fra le persone?
La comunicazione ultra veloce, senza abbonamenti mensili, tipica di questi tempi, sta sfidando i nostri complessi cervelli, che sempre più velocemente cercano nuovi strumenti per velocizzare e accorciare la strada a scelte e decisioni.
…poi facciamo cagate e arrivano i problemi.
L’AI ne è un esempio d’assalto in cima fra gli strumenti veloci e facilitatori. E poi quanto bello è il nuovo visore di Apple? Queste scorciatoie multi vitaminiche ci fanno sentire al parco giochi con lo zucchero filato appiccicato sulle labbra. Un continuo pumping tecnologico, che è una figata sia chiaro, va solo gestito bene per ottenere il vero guadagno (di vita) senza farci elettrizzzzzzare troppo.
Tra e-mail, whatsapp, social, slack, substack,riunioni dal vivo e video call meeting, si comunica tantissimo con molte persone ogni giorno, per via digitale, attraverso strumenti tecnologici. Non pensi ci sia poca umanità, poco sguardo, poca connessione fisica in questa vita, ultimamente?
Noi siamo Emanuele Caccamo e Michele Vaccarotto, cerchiamo contatti veri, parliamo di persone che coordinano processi e accompagnano altre persone al paradiso, o all’inferno. Interveniamo apparentemente per primi, in questa newsletter, in realtà quello che scriviamo è una risposta alle vostre domande. Parliamo per ultimi.
Domani e dopodomani saremo al WMF per qualche ora e poi in spiaggia, con il telo mare radicale. Nel caso, scrivici e ti troviamo un posto sotto l’ombrellone.
Cominciamo!
Il maledetto problema dei ruoli.
Every company is a software company, si intitola così un pezzo uscito sul blog di McKinsey. Stiamo diventando aziende digitali (grezze e immature ancora, ma come sempre gli italiani do it better… abbiamo solo i nostri tempi).
Queste nuove strutture digitali sono veloci, snelle e decentralizzate ma, c’è sempre un ma, senz’altro dicotomiche con i modelli organizzativi gerarchici attualmente in uso. Modelli organizzativi derivati dal mondo feudale, progettato intorno all'anno 1000 da Carlo Magno.
Diglielo ai tuoi amici quando ti dicono: “lavoro per un’azienda vecchia con il capo che fa tutto lui e si sente Dio ”. No, è Carlo Magno. Il leggendario.
Il grande problema dei sistemi gerarchici è che producono una diffusa indisponibilità ad assumersi responsabilità. Quest’ultimo aspetto, unito al fatto che per chi è nato dopo il 1990 i concetti quali "fedeltà" e "obbedienza" - soprattutto nei confronti di un'azienda - risultano quasi incomprensibili, autoritari e ostili… si finisce che a nessuno gli frega serenamente un cazzo.
…Poi facciamo cagate e arrivano i problemi.
La risposta unica - senza opzioni di scelta - sta nel Self Management (vedi Holacracy, S3, COS solo per citarne alcuni), un mindset organizzativo dalla quale ci prendiamo 2 cose che fanno a caso nostro:
Confronto tra pari. Decisioni prese da tutti non per consenso ma per assenso (consent-based decision making: in assenza di obiezioni significative e documentate, ognuno può prendere decisioni relative al proprio ruolo).
Trasparenza radicale, la comunicazione interna, lo scopo aziendale, la mission, i valori guida, i principi strategici, le informazioni sui mercati, la concorrenza, i meccanismi di retribuzione e di incentivazione, gli obiettivi trimestrali e annuali. Tutte le informazioni necessarie sono rese disponibili, se non a tutti, almeno a chi ne ha bisogno per prendere decisioni.
La gerarchia serve nei ruoli ma non nelle persone, questi aspetti sono un primo passo per abbattere quel muro che si alza ogni volta che dobbiamo parlare con un collega sopra, sotto, dal vivo o in digitale. Se ti vedo come un mio sottoposto, alzerò inconsapevolmente il muro, se ti vedo come il mio capo farò lo stesso.
Il respiro, quello corto.
Respiriamo circa 25 mila volte al giorno. Senza accorgercene, o quasi. Ma non sempre lo facciamo nel modo giusto. Anzi, lo facciamo sempre peggio, come racconta James Nestor, autore del libro L’arte di respirare. Le regole base per rieducare un gesto naturale.
Ciò che principalmente cambia, al variare dei momenti di ansia e tensione, non è la quantità dei respiri ma la sua lunghezza, che si accorciano all’aumentare dello stress.
…Poi facciamo cagate e arrivano i problemi.
Il flusso del respiro lento e lungo fa esercitare l’ascolto, valorizzare le pause, rispettare i tempi e l’alternanza nei dialoghi.
Pare che Nestor abbia impiegato 10 anni a scrivere questo libro, certo Carlo Magno ci avrebbe messo meno, ma al suo interno trovi delle osservazione ben documentate e che ti fanno cambiare il modo di respirare, anche fisicamente, dando priorità di respiro al naso e non alla bocca ad esempio. Da lui apprendiamo che dovremmo rallentare il nostro respiro, perché quando la nostra frequenza respiratoria al minuto si abbassa, assorbiamo più anidride carbonica, che al contrario di come si pensa, essa aiuta i nostri tessuti ad assorbire più ossigeno.
Del libro ne ha parlato Andrea Giuliodori qualche mese fa.
Ps: se non vuoi smettere di fumare per favore non leggerlo.
L’ascolto, quello vero.
Abbiamo sempre più risposte che domande.
Andy Grove, tra i fondatori di Intel, era un grande sostenitore delle riunioni one to one. Le riteneva fondamentali per aumentare il rendimento dei dipendenti e farli sentire davvero apprezzati come persone uniche, oltre che importanti per l’organizzazione. Considerando che dopo la pandemia si è registrato un aumento del 500% delle riunioni individuali, possiamo desumere che tutti hanno più bisogno di essere ascoltati e capiti?!?
Il feeback, quello filato come lo zucchero.
Secondo la nostra Eva Martini, l’ascolto attivo agevola il miglioramento del processo di feedback. Sembra la cosa più facile del mondo, parliamo tra noi tutto il santo giorno, la comunicazione la usiamo dal momento in cui ci alziamo dal letto al momento in cui ci torniamo (e qualcuno parla anche nel sonno). E invece no. Non è facile proprio per niente. Il più delle volte siamo più vicini all’incontro tra Fracchia e il megadirettore.
Infatti, siamo bravissimi a trovare i difetti e a spararli in faccia all’altro, ricoperti da un tipico strato di giudizio su un’altra persona (che spesso non è l’interlocutore diretto). È là che cadono i più. Siamo abili nel dare giudizi, talvolta secchi e crudeli. Molto meno a dare feedback.
Cosa significa feedback? E’ un punto di vista nuovo che ti condivido, che è mio, ma potrebbe essere utile anche a te. È molto più di una semplice risposta, è un mezzo di comunicazione sano e potente tra persone. E soprattutto, è un punto di vista e non un giudizio.
L’obiettivo principale del feedback è quello di migliorare qualcosa: scopo, processo, prodotto, servizio, comportamento, relazione, strumento, metodologia, ecc.
Dare feedback sempre orientati al miglioramento aiuta a sviluppare soluzioni creative e superare ostacoli in modo più agile, migliorare i processi interni ed esterni dell’azienda, spronare una persona a fare meglio, questo permette un apprendimento continuo.
Quando avviene un feedback?
Scarica pulsionale – quando il feedback emerge senza essere stato «preventivato», ad esempio alla consegna di un progetto o dopo una riunione, in due o in gruppo.
Su Offerta – quando un membro del gruppo vuole spontaneamente offrire un contributo che può essere utile a chi ha effettuato il lavoro.
Su Richiesta – quando una persona chiede ad un’altra un commento su un fatto, un progetto o un comportamento che la riguardano direttamente.
E quando il feedback ci viene richiesto, allora abbiamo fatto bingo! Significa che la persona si ritiene sufficientemente “al sicuro” per ricevere ciò che vogliamo regalargli.
Vittorio Sgarbi è uno che ascolta attentamente, poi esagera un pò nella risposta.
Sentirsi a proprio agio senza il peso del ruolo e di chi lo porta, concentrarsi di più sul respiro lento e lungo, ascoltare prima di parlare per ultimi e favorire un ambiente dove i feedback nascono spontanei e belli.
Basta parlare quindi, ma ascoltando bene i nostri interlocutori, che apprezzeranno il nostro pensiero carico di riflessione.
Alla prossima,
Emanuele e Michele