“Ciao”, disse mentendo.
“Buongiorno”, rispose limando le distanze.
“Siediti.”
“Si sieda, vorrà dire.”
“Lo vorrò.”
“Usi la sedia per mettere una distanza tra lei e la terra: si sentirà migliore.”
“Non penso. Meglio l’ironia. Io per sentirmi migliore uso l’ironia come veicolo per trasportare carichi emotivi troppo pesanti.”
“Interessante. Lei è un tipo strano, lo sa?”
“Lo so. Sono un tipo strano. Anche lei lo è…”
Quante volte torni a casa senza ironia? Spossat@, frustrat@, tes@.
Premessa: non è la primavera, l’ultima volta che abbiamo parlato di amore e primavera è tornato l’inverno e nel peggiore dei casi ti sei mollat@. Portiamo sfiga. E’ vero.
Saranno le troppe call, scadenze, riunioni, presentazioni. O magari è colpa di quel cliente simpatico quanto il tuo divano sfondato al momento di andare a letto.
Oppure nessuna di queste cause, perché ami il tuo lavoro, te ne sbatti dei tuoi clienti, le task procedono con i soliti problemi risolvibili perché “non salvi vite umane”, i processi funzionano, i soldi son pochi ma arrivano. Pare invece che tra le principali cause di stress da lavoro occupano un posto importante le tensioni con i colleghi. Le statistiche indicano che un italiano su tre ne è affetto. Queste tensioni, spesso sottili e non immediatamente percepibili all’occhio umano, si accumulano sotto terra, e portano alla stanchezza cronica di fine giornata, demotivandoci.
Dopotutto, a differenza degli amici, i colleghi non li scegliamo mica noi nella vita.
Che tu sia un manager o una rappresentante di lista del circolo delle carte Pokémon, sai già come va a finire: lui o lei fa commenti che ti irritano, scrive messaggi e email con l’empatia di un ghepardo all'esame di guida. E tu sei lì, pronto a rispondere o, in silenzio, incassi e vai avanti.
In pratica, quando ami il tuo lavoro e vuoi farlo bene, ma non ricevi alcun riconoscimento o gratificazione, il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) aumenta e l'ironia svanisce. Dato che il 95% dei lavori richiedono una qualche forma di collaborazione tra colleghi, e le decisioni di uno influenzano inevitabilmente gli altri, è importante trovare un modo per gestire queste pressioni al meglio.
Canta cantagallo, siamo Robin Hood e Little John, e questa è la Foresta Radicale, derubiamo i colti per dare conoscenza ai poveracci come noi. Se passavi di qui per caso, unisci pure alla nostra Foresta di Sherwood editoriale.
Gentilezza primaverile, trasparenza araba, gender policy, attenzione emotiva e altri mindset skills negli ultimi anni hanno generato non pochi cambiamenti tra i leoni da tastiera, trasformandoli in gattini. Tutto bello, ma nel concreto c’è ancora molto da fare, solamente perché si partiva (prima della pandemia) da condizioni simil Neanderthal.
C’è da ammettere che siamo fortunati in questo periodo storico, oggi ti puoi licenziare (senza rimorsi) perché ti viene negato lo smart working, e puoi con la massima autosicurezza parlare di trasparenza, benessere mentale e climate change al primo colloquio di lavoro, ma sulle umane tensioni quotidiane c’è poco da fare, te li devi cuccare.
“Chi cerca trova” anche cose carine, chi va a lavorare trova casini, conflitti e disguidi, e se non sei preparato ad affrontarli finisce che ti trovi con i piedi in testa. E che tu sia piedi o testa, passività e aggressività rimangono 2 facce della stessa giornata di m.
Nella foresta li cerchi.
Se lo cerchi attentamente lo trovi. Il collega di m si disperde benissimo in mezzo agli altri nella foresta, non va sempre allo scontro e non alza quasi mai il tono di voce. Su slack usa i puntini di sospensione, il pollice in alto dopo che ti ha palesemente obbligato a dire “si”, e poi senza ritegno ci mette l'immancabile occhiolino (anche da vivo LOL). 8 volte su 10 ti chiede informazioni della quale già conosce la risposta, perché vuole fare incroci di verità per svelare il segreto nazionale aziendale.
Nella foresta li trovi.
In presenza, spesso arriva con un sorrisetto sferzante stampato sulla faccia in copia limitata. Mentre ti parla guarda un punto a caso tra il tuo orecchio e la tua spalla, e poi va via farfugliando parole incomprensibili. Indipendentemente che ci sia tranquillità, oppure si stia scatenando la terza guerra mondiale, lui o lei, alle 17.50 appoggia la penna on the table, e ti lascia li a risolvere problemi. Anche fuori da lavoro cade nel vittimismo e auto commiserazione lirica profonda, dicendo il contrario di quello che pensa di se stess@. Si lamenta di altri colleghi ma poi si lamenterà di te con gli stessi colleghi. Scrocca pure le sigarette.
Nella foresta li annulli limando le distanze.
Il collega di m va compreso e “simpatizzato”, perché agisce certamente per debolezza e scarsa auto-sicurezza, anche se lo fa danneggiando gli altri per consolazione di tante sue frustrazioni. Di certo non sarai tu a risolvere la vita, però potrai cercare di convincere questa persona (che non hai scelto) ad abbassare la tossicità, prendendo essenzialmente 2 strade:
A) Agire → One to one, per una volta o forse 2 al massimo, affrontando il comportamento specifico e non la persona. Nel caso di fallimento potrai certamente limare le distanze, usando l’ironia “come veicolo per trasportare carichi emotivi troppo pesanti”, se ti è rimasta.
B) Stare zitt@ → 🏃🏼♀ Il nostro cervello lavora 3-4 volte più velocemente di quanto le persone parlino, quindi non parlare in alcuni momenti può essere veramente difficile!
🤫 Saper tacere è una competenza sottovalutata. Non basta saper parlare, bisogna anche saper ascoltare.
👂 Il silenzio ci permette di comprendere meglio, riflettere e comunicare efficacemente.
💡 In un mondo frenetico, saper tacere è un'abilità distintiva. Non è rinunciare alla propria voce, ma sapere quando parlare.
Ecco quando il silenzio è prezioso:
1️⃣ Discussioni intense: Il silenzio calma le acque e favorisce la comprensione.
2️⃣ Ricevere critiche: Ascoltare senza difendersi migliora il feedback.
3️⃣ Decisioni importanti: Riflettere in silenzio porta a scelte migliori.
Allenare il silenzio richiede pratica, ma i benefici saranno enormi.
Se hai provato le diverse soluzioni, e di certo non potrai denunciare, stalkerizzare e attaccare le gomme da masticare dentro il PC, non ti rimane che scaricare da qualche parte queste frustrazioni. Dove?
Lamentarsi fa bene
Stiamo dicendo che potrai lamentarti? si, dichiarandola sempre apertamente prima di farlo.
Lato management è ormai chiaro che bloccare la lamentela del proprio team, bloccando il libero fluire delle informazioni all’interno dell’azienda, è un processo molto più dannoso e tossico che non farlo. I manager soffrono terribilmente dell’ incapacità di confrontarsi con le lamentele e di gestirle in modo strategico e funzionale, senza comprendere che anziché avere un effetto negativo, avranno un valore INFORMATIVO prima e FORMATIVO poi.
Come manager possiamo prendere in prestito la cosiddetta Complaint Management, usata per gestire le lamentele dei clienti da parte dei customer service delle aziende, al fine di placare le frustrazioni e migliorare prodotti e servizi, conservando la relazione con il cliente stesso. Tutto girà sul libero sfogo e ascolto attivo.
Qualcuno si lamenterà con te dunque, e tu ti lamenterai con il tuo manager di riferimento. Bada però a non esagerare, diventando Calimero
Dopotutto, la cara vecchia lamentela è un fucking bisogno sociale infantile, come il bisogno di amore e di appartenenza, bisogno di riconoscimento o stima, bisogni di auto-realizzazione (piramide di Maslow).
Anche quel piccolo gruppo di colleghi/amici di sedute spiritiche di lamentela può essere legittimo, se misura e contesto sono appropriati, per trovare supporto e conforto.
With win win win we al win!
Il conflitto ci sarà sempre non si può evitare, non esistono persone e aziende prive di conflitti ma esistono persone e aziende che non sanno gestire i conflitti o che li evitano e questo non serve a nulla. Che tu sia piedi o testa, speriamo di averti dato qualche info in più per limare le distanze dai colleghi di m. e uscirne win win win
La poesia in apertura è di un lucidissimo Paul Valenti, “Un crostino di verità in un’insalata di ortiche”.
Alla prossima
Emanuele Caccamo e Michele Vaccarotto